CREPUSCOLAMI GRAVEL RACE

Ieri si è svolta la terza edizione della Cremona-Milano; che per l’orario di partenza inedito ha plasmato il suo nome in CREPUSCOLAMI.

Dopo aver raggiunto Cremona in treno con alcuni amici, pedaliamo verso il punto di incontro. Rapida iscrizione, poi abbiamo un’oretta per rilassarci e bere qualcosa. Fa un caldo boia, siamo oltre i 30°, il tasso di umidità è molto alto.

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Sono le cinque, capo Pigi da alcune informazioni mentre ci trasferiamo fuori dalla città. In pochi minuti siamo al vero punto di partenza. Dopo qualche secondo si parte, via!

Fiancheggiamo un canale in fila indiana, ad una velocità costante di circa 30 orari, il sole è ancora piuttosto alto. All’ottavo kilometro dalla testa della corsa si accende una miccia che poco dopo fa letteralmente scoppiare l’intero Plotone, composto da circa 50 ciclisti. È una rasoiata che supera i 40 orari, mi coglie impreparato nel momento in cui cerco di rompere il fiato. Mi ritrovo da solo a rincorrere i 13 al comando, dietro non vedo nessuno.

Si partecipa a coppie, nel gruppo davanti ci sono sei squadre ed il mio socio, Antonio. Fa un caldo cane, mi alzo sui pedali ma non guadagno un metro, vedo in lontananza le sagome e la polvere che sollevano. Mi sembra di andare in bici da un giorno, sono debole mentre respiro a bocca aperta, mi fa male la milza. Dopo circa 7 km il mio compagno di giornata mi attende, rimango un po’ coperto dalla sua imponente stazza, riuscendo in parte a riprendermi dallo sforzo. Antonio tiene una buona velocità senza strappare inutilmente.

La temperatura è sempre molto alta, la polvere rende l’aria ruvida. Siamo quasi a Crema, in lontananza sull’altro argine del canale intravedo due sagome, portano maglie Pedaled, mentre ci avviciniamo riesco a riconoscerli, davanti c’è D’Acunto con una buona e fluida andatura, a ruota Grillo, un filo più affaticato. Non resta che allearci, D’Acunto e Antonio si danno cambi regolari in testa, io e Grillo rimaniamo più coperti.

Troviamo un po’ di refrigerio solo quando fiancheggiamo le file di alberi che coprono la luce diretta del sole. Dei quattro io e D’Acunto abbiamo il GPS, che ci permette di seguire la traccia corretta.

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Nella periferia di Crema perdiamo il segnale per poche centinaia di metri, mentre dal gruppo in testa si stacca un altro componente, che si aggrega a noi, è Dario. Siamo in riserva di liquidi, ci fermiamo ad un bar per riempire i serbatoi, si beve come fossimo nel deserto, ripartiamo. Dopo pochi kilometri raggiungiamo il Pez che nel frattempo ha bucato e già riparato, proseguiamo in sei, quando finalmente arriviamo a Pandino, circa il giro di boa, ed il ristoro. Entriamo nell’oratorio ed incrociamo i primi che escono per procedere verso Milano. Ho ancora male alla milza, fatico a mangiare qualcosa ma me lo impongo, ho speso già molte energie. Riempiamo nuovamente le borracce e ripartiamo, insieme a noi si aggrega il Perse.

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Procediamo in cinque, io, Antonio, Perse spaiato, Dario, e il Pez, il sole cala lentamente, la temperatura no. Attraversiamo delle pietraie che diventano pericolose e lente da oltrepassare ai miei riflessi appannati, sebbene mi renda conto che la sosta di cinque minuti mi abbia in parte rigenerato. Il sole è ora basso, il paesaggio magico, il riflesso lambisce l’acqua del canale incorniciando gli antichi ponti e le chiuse, alla destra file di alberi delimitano un quadro d’autore.

Siamo realmente nel cuore e nell’anima di questa giornata, Crepuscolami.

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Arriviamo ad una delle infinite sbarre che ostacolano l’attraversamento di una strada e trac, il Pez cade da quasi fermo e prende una brutta botta al polso che lo costringe a fermarsi nuovamente per rinfrescare la zona dolorante sotto una fontana. Mi assicuro che Dario rimanga con lui, procediamo in tre.

Siamo nei pressi di Lodi, entriamo in un bosco, diversi leprotti sbucano da ogni dove, la fitta vegetazione frusta le nostre facce, a fatica vediamo il sentiero e la direzione da seguire. Poco dopo Perse fora, ci fermiamo, e lui signore qual’è ci invita a procedere, mi informa che ha tutto l’occorrente per riparare.

Siamo di nuovo io e Antonio, mi sento meglio, riesco a spingere bene il mio unico rapporto, un inedito 50×18, non ho dolori, mi sento fluido. Antonio invece sembra Ulrich, sempre seduto stantuffa il suo 46×16 fascettato senza troppe difficoltà, che forza! Usciamo dalle zone più impervie, la borraccia è ancora a secco, mentre vedo una vecchina che innaffia il prato della sua graziosa villetta di periferia, le chiedo di riempirmela per l’ennesima volta, ringrazio e ripartiamo.

Siamo a Melegnano, tra rotonde ed incroci guadagniamo strada, spingo forte sui pedali, mancano circa 15 km. La luce diminuisce sempre più, mentre entriamo in città, con qualche problema attraversiamo il sottopasso della stazione di Rogoredo. A tutta percorriamo le ampie strade di Milano, il traffico è poco perché si sta giocando la finale di Champions League, buon per noi. Tra zig-zag, parchi, ciclabili e strade meno conosciute, raggiungiamo finalmente LA STAZIONE DELLE BICICLETTE di via Bonaventura.

Dopo quattro ore e quaranta pedalate, centodiciannove kilometri, tanta fatica ed emozioni, l’avventura è terminata. Entriamo nel parchetto di ritrovo tra i complimenti degli amici.

I primi quattro a raggiungere Milano sono stati: Varanini, Schilirò, Porreca e Sartori. Poi Locatelli in Singlespeed, Spiller, Borella senza socio causa caduta, io ed Antonio, e a seguire gli inossidabili Dario e Pez. Mentre alla spicciolata arrivano altre coppie, beviamo una birra svaccati nel prato, ci rifocilliamo per bene.

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Chiunque arrivi ha il volto impolverato, sofferente ma soddisfatto.

Si è fatto buio mentre arriva ancora qualcuno, poi infine tutti, fino all’ultima coppia di eroi, quasi a mezzanotte. Perché nel ciclismo si sa, gli ultimi hanno un valore speciale.

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A loro come a tutti va l’onore per aver terminato un percorso impegnativo, in una giornata bollente e fantastica, dura ma gratificante.

Grazie a chi ha reso possibile tutto questo, e grazie a chi ha affrontato l’avventura in bici da cross, in singlespeed o in fissa.

Onore al merito.

Sei giugno duemilaquindici.

Emanuele Barbaro

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